Salerno la città visibile

A partire dal secondo decennio del Novecento, Salerno si configura definitivamente come una città non più ricomponibile in un disegno organico: l’antico e il nuovo centro diventano universi separati, monadi urbane. Il centro antico arretra nella sua disorganicità, sorgendo invece, la nuova città sul sacrificio di spiagge e giardini sull’eclissi di suggestivi paesaggi, con una forte identità diastematica. A sud-est, scriveva Ferdinando Cirielli nel 1857, nelle belle giornate di sole, ancora si intravedevano in lontananza “…gli avanzi della celebre Pesto…”; ancora si stagliava, sotto lo sguardo dell’osservatore, l’andamento sconnesso delle case i cui ordini “…si avanzano gli uni sugli altri quasi per disputarsi la vista del mare, di cui non godono le poche file giacenti sul basso del pendio, perché impedite dall’altezza delle prime abitazioni poste lungo la via della marina..”. Questo scenario quasi immobile muta rapidamente, soprattutto in seguito alla fervente stagione dei lavori pubblici, sostenuti, con grande dispendio di uomini e mezzi, dal regime fascista. Gli edifici evidenziano, con sempre più marcata chiarezza, il ricercato compromesso tra monumentalità e funzione, tra decoro e razionalismo; scandiscono, con precisione inappuntabile, i mutamenti di “stile” che connotano l’Italia liberale e quella fascista. La nuova città assume la prepotente identità di una solida compagine urbana, ammantata di monumenti. Busti e sculture in bronzo vengono eretti negli spazi della visibilità urbana, tra via Roma e piazza Ferrovia, da piazza Luciani alla Villa Comunale, fino allo spiazzo antistante il Palazzo di Giustizia. Ogni periodo storico, da quello liberale al fascismo, alla ricostruzione post-bellica, vorrà rendere visibile ed indelebile la propria storia, raccontarla attraverso le vestigia monumentali, itinera di un unico, ininterrotto sacrario cittadino.